sabato 22 gennaio 2011

«Siamo sempre noi a decidere chi siamo»


Oppure chi vorremmo essere o diventare. E lo stavo pensando proprio ieri, ignara che la sera stessa avrei visto questo interessantissimo film, Waking Life [link info].
Il film si presenta come una successione di illuminazioni e teorie sull'essere umano [inteso come creatura sociale e spirituale] che non mirano a creare una trama coerente o con un fine prestabilito, ma rimangono lì, delle epifanie che, mostrandosi, regalano i più disparati spunti di rfilessione.
Tornando alla strampalata coincidenza, effettivamente, negli ultimi tempi, mi è capitato spesso di pormi  il dubbio sulla nostra intima natura individuale, e sottolineo individuale perché ciò che sto cercando di comprendere, non è quella natura comune a tutti gli uomini, ma il percorso e lo sviluppo di un essere a sé stante, che fa sì parte della comunità umana tutta, ma rimane unico in se stesso.
All'interno del film vengono fatti riferimenti al libero arbitrio, alle leggi fisiche, chimiche e biologiche che regolano il nostro organismo e che ne determinano lo sviluppo, ma come afferma una delle tante voci presenti: "Ogni sette anni, le nostre cellule si rigenerano completamente, quindi più volte nel corso della vita, diventiamo esseri totalmente diversi, eppure, in fondo, rimaniamo sempre noi stessi."
Cosa è che determina il "noi stessi"? E come è possibile percepire questo "noi stessi" come immutabile nel corso dell'esistenza? Noi siamo già dal principio o ci costruiamo lungo il cammino? E se le due ipotesi non si escludessero a vicenda creando un connubio fra essenza prima e mutazione, evoluzione di quest'ultima?
C'è chi crede che l'essere umano si sveli durante il proprio percorso vitale, ovvero scopra quelle che sono alcune proprie caratteristiche soltanto a seguito di esperienze compiute, ma è anche vero che, se così fosse, tali caratteristiche, una volta venute a galla, risulterebbero impossibili da trasformare, in quanto fondanti e fondamentali del e per l'individuo. Ma le esperienze stesse insegnano come anche le peculiarità caratteriali possono essere modificate in base alle esigenze e alle circostanze.
Quindi, e qui ritorno ad un'ipotesi fatta tempo addietro, suppongo che l'essere umano debba paragonarsi all'acqua e debba aspirare a divenire come essa.
L'acqua non muta la propria essenza, ma modifica e adatta le proprie caratteristiche in relazione al contesto in cui è inserita. Cambia temperatura, aumenta d'intensità e velocità nello scorrere, si addolcisce o rende salata, ma chi è che può negare che di fronte ad un fiume, un lago o all'oceano, non ci si trovi d'innanzi ad acqua?
Sempre e comunque acqua.
Chi è che può negare che a  sei anni, a quindici, a trenta e a sessanta non sia comunque rimasto di fronte a se stesso?  
Nessuno.
Anche i cambiamenti radicali comportano e contemplano un'unità di fondo. Ma il cruccio è sempre lì e non cenna a svanire: quale è questa intima essenza che ci rende unici e molteplici allo stesso tempo [il noi stessi]?
Vogliamo chiamarla "anima"? Ma anima, forse, è soltanto un nome dato a qualcosa di ignoto e questa definizione non risolve di certo il quesito.
E questo è un problema che, in realtà, è legato al destino proprio di ogni individuo [ma sostituiamo il termine destino con quello di percorso]. 
Il mistero del "noi stessi" risiede in ognuno di questi "noi stessi", preso singolarmente. Il percorso umano non è uguale per tutti gli esseri ed il passaggio storico dalla concezione di collettività [sociale o meno] ad individuo, è profondo segno di questa consapevolezza. 
Pluralismo delle individualità che forma un unico puzzle, il quale non potrebbe sussistere senza la diversità degli incastri dei propri tasselli.

[A.H.V.] Alexis
22.01.2011

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