martedì 28 settembre 2010

Seguendo un nuovo corso

È come se il mio corpo seguisse un corso diverso da quello comunemente accettato dai calendari.
Il mio anno non comincia l'1 Gennaio, ma a Settembre, verso la metà del mese, quando ormai stanca della calura estiva, comincio a raccogliere le provviste per l'inverno e medito sui mesi trascorsi e le azioni compiute.
In effetti credo sia un po' per tutti così. È a settembre che riprendono le attività dei mesi freddi, il lavoro si regolarizza, partono i corsi scolastici e si rincorrono le date degli esami, si fa un po' il resoconto dell'estate e, carichi o spossati, si riparte sempre e comunque per un nuovo ciclo.
Ultimamente ho avuto la fortuna di vivere ogni stagione nella sua pienezza, mi è capitato di avvertirne le suggestioni o addirittura di sentirle dentro me ancor prima che sbocciassero nel mondo esterno, ma questa connessione al naturale è stata spesso intaccata da una premura interiore.
È stato un anno intenso, un anno di corsa, un anno di dinamismo e di caos in netta contrapposizione al lungo periodo di stasi precedente, i fili delle mie decisioni si sono intrecciati e hanno creato un nodo che sto cercando adesso di districare, approfittando della calma autunnale e dell'autocontrollo forzato. Ho scalpitato, ho desiderato, ho vissuto fino al tragico le mie emozioni, le ho caricate di enfasi e di pathos, ma era ciò di cui necessitavo. Avevo bisogno[e ne ho ancora] di assaporare ogni istante della vita che mi passa accanto, non voglio lasciare gli eventi al caso, ogni occasione va sfruttata e spremuta fino all'ultima goccia... sono avida di vita, sì, devo ammetterlo. E avida d'amore, d'affetto, di espansione, di dono.
Il mio essere fiamma produce diverse ustioni che non chiamo ferite, ma esperienza, crescita, percorso personale. Senza volerlo ho fatto del Carpe Diem il cardine delle mie giornate, anche se, come mi disse un mio caro amico, "La tua azione istintiva è comunque frutto di un ragionamento precedente" e ciò vuol dire che io colgo l'attimo soltanto quando l'attimo richiede di essere colto. Né un minuto prima, né un minuto dopo. Tutto deve seguire un corso proprio regolato da tempi precisi ed io sto imparando a rispettare questi tempi, a percepirli ed assecondarli. Non è una cosa semplice, ci vuole pazienza e capacità/volontà d'ascolto, ma il tempo scivola e fluisce indifferentemente e sta solamente a noi saper cogliere le pause, le battute d'arresto che ci mettono in connessione con gli altri e con noi stessi.
Io, il mio corso, il mio anno, sto imparando a ri-conoscerlo. Si è svelato da solo e mi ha mostrato il suo essere ciclico e clinico. Io l'ho osservato ed ascoltato e non posso far altro, adesso, che innalzare una preghiera e sperare che anche quest'anno gli Dei non mi abbandonino.

Lanterne Orientali
Foto reperita sul web - Tutti i diritti riservati all'autore©

Alexis
28.09.2010

lunedì 27 settembre 2010

Sulla Bellezza

La Bellezza è quel qualcosa che va oltre l'armonia delle linee e delle forme. È ciò che dona viva emozione al cuore, ciò che parla all'anima senza muovere parola.

 * * *

Siamo abituati a considerare il Bello come qualcosa di mortalmente statico, immobile, asettico. Figli, come siamo, di un presunto classicismo, in realtà non abbiamo affatto compreso la tensione dell'armonia aurea propria del mondo antico, greco nello specifico.
Per secoli non abbiamo fatto altro che crogiolarci fra le ceneri di un'idea che non è stata essenza reale e concreta, ma sempre obbiettivo, scopo anelato e mai raggiunto. Un passato mitico, come l'epoca in cui fu presente e, come tale, immerso fra i flutti fusi insieme della realtà e del sogno.
La civiltà greca era tutt'altro che una civiltà statica, era animata dal mito, dalla presenza divina in ogni azione quotidiana e gli stessi Dei obbedivano e cedevano alle leggi delle passioni carnali e spirituali. Dietro la fissità degli sguardi scolpiti v'era e v'è, in realtà, la potenza di una divinità che impera sull'animo umano, lo soggioga e lo rende suddito. Una Nike non può essere figura fissa, immobile, essa vibra nell'aria, la scuote con decisa fermezza e, seppur mutilata, mostra la sua forza, la sua carica dinamica a chi la osserva, e un futurista come Boccioni probabilmente mostra di aver compreso l'arte classica più del neoclassico Canova¹, in cui comunque non possiamo dire di essere completamente esenti dall'emozione, poiché ritrarre un'emozione, un sentimento, un attimo prima della sua esplosione non significa abolirlo, esaurirlo, eliminarlo, bensì è coglierlo nel suo momento di massima tensione, in cui è forse più potente dell'azione compiuta e finita, risolta in un gesto. Ma che Winckelmann avesse sbagliato nel valutare l'arte classica, è storia ormai nota.
Ciò che voglio dire, con questo, è che umanamente desideriamo qualcosa che non ci appartiene e idealizziamo in maniera errata una caratteristica che è propria dell'estatto opposto della perfezione. Quest'ultima è soltanto una categoria estetica che dimentica il grande valore insito nella Bellezza: l'emozione. E finché non avremo compreso questo, non ci rimarrà altro da fare che inseguire simulacri vuoti d'ogni significato e reale partecipazione, costruendo un debole ego su fragili specchi di cristallo.

Alexis
27.09.2010

¹:[dalla descrizione della scultura della dea Ebe]«Con ciò l'artista voleva ribadire la sua aderenza agli esempi della statuaria classica sia con il suo desiderio di voler esprimere solamente il bello ideale sia con l'eliminazione delle passioni o dei sentimenti forti». Cricco-Di Teodoro, Itinerario nell'arte, Volume III, pg. 548.

martedì 21 settembre 2010

L'Alce di Mudjekewis

In fondo sono un essere che non sa bene come vivere, non sa bene identificarsi, né trovare il suo giusto spazio nel mondo, e non per una sorta di inettitudine esistenziale, non per una svogliatezza del e nel vivere, ma semplicemente perché il Tutto, il Mondo sono la mia casa.
Non esiste luogo che non mi abiti, che non mi appartenga, che non senta come parte integrante del mio essere, come se conservassi tutto nella coppa che formano le mani congiunte, come se lo osservassi da un punto di vista noto soltanto a me e desiderassi respirare su questo mondo per arricchirmi e per riscaldarlo al contempo, godendo di una reciproca affinità.
Sono un essere autunnale, dalle tinte calde, accoglienti, ancora arse dal sole dell'estate, bagnate dalle prime piogge e pronte per il sonno invernale. Sono un essere di passaggio, una mezza-stagione, un qualcosa di indefinito, un ponte che congiunge differenti estremità. La mia natura fatica a dirsi una ed unica e non lascerò mai che nulla ne deturpi la libertà d'essere anche ciò che apparentemente non è o sembra non poter essere.
Ho tentato ancora una volta di descrivermi, contraddicendomi a più riprese forse, ma come ogni singolo individuo, sono un mistero che va svelato piano, con la pazienza e caparbietà di un esploratore attento, di un sognatore simile a  me.

Alexis
21.09.2010

sabato 11 settembre 2010

Su Chris Peters

È incredibile come l'Amore riesca a mantenere la sua poesia anche in soggetti che potrebbero essere definiti "macabri".
A quest'opera di Chris Peters non manca nulla. Mancheranno forse gli occhi, la pelle, abiti che magari aggiungerebbero colore e decori al dipinto, ma toglierebbero spazio all'essenziale. E l'essenziale è il sentimento, anzi l'insieme dei sentimenti di cui essa narra.
L'affetto, la protezione, la cura dell'altro e la relativa angoscia per un futuro incerto non hanno bisogno di ghirigori aggiuntivi per essere espressi, non hanno bisogno di avere, di assumere delle apparenze... sì, perché solo di apparenze si tratterebbe.
Attraverso la rappresentazione dello scheletro umano si universalizza il messaggio ed il significato ultimo della rappresentazione. Tutti possono identificarvisi senza alcun ostacolo, proprio perché lo scheletro non ha occhi, non ha corporatura, non ha tratti somatici, non ha colore né capelli... è una sorta di anima materiale.
Mi ricorda un'opera simile di Beksinski, in cui sono due figure scheletriche e parzialmente muscolari ad abbracciarsi oppure quella coppia di scheletri primitivi rannicchiati insieme ritrovati non molto tempo fa... ed è proprio in quei due scheletri aggrappati l'uno all'altro da secoli che si ritrova, forse, la vera essenza dell'immortalità e la sua sublime bellezza, il perdurare di qualcosa di impalpabile che si materializza e si solidifica, divenendo eterno, immortale anche dopo il decesso effettivo. Un sentimento che pur prendendo forma riesce a sfondare le barriere e limiti di quest'ultima, superandola.
In fondo, se ci si sofferma su a pensare, di noi non rimane altro che il ricordo di ciò che abbiamo lasciato e fatto, la nostra essenza che si trasmette agli altri. Il corpo si smaterializza e si distrugge, sfuma i suoi contorni nel ricordo, che trasfigura le sagome, ma l'essenza, quella, rimane.
Per questo trovo l'opera di Peters totale nella sua rappresentazione, per tutto ciò che significa e che non si esaurisce solamente nelle mie parole o nel senso che io le ho dato.

Alexis
04.05.2010
Chris Peters, To Hold You Again, 2007
E chissà cosa porterà il domani
a questi cuori infranti
a queste ossa rotte
che avvilite si sfiorano
cercando il brivido di un ultimo respiro.

Alexis
04.05.2010
***

sabato 4 settembre 2010

Hydra

Vorrei espandere le mie braccia, moltiplicarle, come fossero innumerevoli teste di Hydra.
Perdermi con le estremità di ogni fibra dentro il gioco sensuale dell'infinito, provare il brivido della fusione con la vita permanendo creatura dotata di forma finita.
Ditemi, come è possibile mutare la densità della superficie, rendere liquida l'epidermide per connetterla alla gassosa e lucente consistenza dell'anima? E perché, nella mia eterna visione di ascesi, vedo il mio corpo orribilmente deforme congiungersi al più profondo nero?
Esso rappresenta forse un Nirvana, un nulla dal quale proveniamo e al quale, prima o poi, ritorneremo? O è forse il collasso delle molteplici suggestioni della vita, il peso che la nostra forma umana ci costringe a portare dentro, magma imprigionato da un involucro troppo piccolo? Sarà per questo che il mio corpo appare così mostruoso, vene e capillari esplodono, lasciando spazio solo al pianto?
Necessito di dare forma a ciò che ho dentro e solo di rado ho occasione di vedere chiaramente il volto delle mie più intime emozioni.
Noi umani siamo così, ci troviamo nelle medesime condizioni di quella creatura abnorme oppressa dall'infinità dei suoi arti, con i quali non toccherà mai nulla, non raggiungerà mai alcuna meta, ingorda di conoscenza mai sfamata. Diverremo sempre più invadenti, ingombranti, onnipresenti, proveremo continue estasi carnali ad ogni lombo in espansione, ma il nero alle nostre spalle continuerà ad opprimerci e a rammentarci che, in fondo, questo è tutto inutile.
Siamo già esseri infiniti, anima e corpo, in realtà, sono già saldamente congiunti nel divino sodalizio dell'eternità. E noi, costantemente, ignoriamo questa realtà.

Alexis
1.09.2010

giovedì 2 settembre 2010

The Jolene's Wonder ≈ by Alexis

Dedicato ad una mia carissima amica. La ringrazio perché mi ha dato la possibilità di creare, forse, la mia prima "opera". È un disegno come tutti gli altri, ma sento di aver dato qualcosa in più questa volta. La rappresentazione di lei in questa forma visionaria contiene in sé una matrice di infinito ed indefinito. Sono forme, forme interpretabili come si vuole, forme che non necessariamente hanno un significato preciso, forme che nascono da suggestioni.
Può piacere come no, ha mille imprecisioni, ma sento di aver prodotto qualcosa che mi apre una nuova strada al miglioramento e, umilmente, ve la espongo.
Alexis, The Jolene's Wonder,
tecnica mista su carta, 2010.
Spiegazione trovata in seguito ad una disquisizione:
«In realtà io avevo concepito il disegno cercando di descrivere una sola persona e tutte le suggestioni ed impressioni che suscitava nel mio animo, quindi la seconda ampolla, quella a forma di goccia, rappresenterebbe un po' la sua anima, il suo mondo interiore che è costantemente mediato e filtrato dall'occhio che osserva e studia tutto molto attentamente. È un universo dominato da luce, ghirigori e forme indefinite spesso soffocate dal "nero" che è il colore con cui ella appare "in società", che però non è sinonimo solo di apparenza, ma diviene culla e rifugio delle fragilità interiori!
Io la vedo così, lei.»