domenica 30 gennaio 2011

A muso duro

«Fin dall'infanzia ho la viziosa tendenza di considerarmi diverso dai comuni mortali. Questo dura ancora, e continua a riuscirmi.»
 Salvador Dalì

Non ho mai nascosto a nessuno la mia spocchia né di come essa si faccia viva e ardente quando mi sento minacciata, o, più semplicemente, non ho mai negato di percepire una sottile diversità che intercorre fra me e le persone comuni [accezione dai limiti totalmente arbitrari e variabili da persona a persona] 
Purtroppo, chi ha a che fare con me, deve convivere con questa realtà visionaria che, però, non è mai a senso unico o frutto di pura megalomania [che pure un po' mi affligge! :P].
Ciò che sento vibrare in me è ciò che cerco negli altri e aborro, seppure comunque la comprenda, qualsiasi forma di banalità, divenendo intransigente in primo luogo verso me stessa. Per questo motivo, spesso, tendo a fare delle scelte che valorizzino ciò che sento di possedere e che mi portino all'esplorazione di una realtà non comune a tutti, o che comunque divenga una dimensione strettamente personale.
Sembra facile a dirsi, ma rimanere imbrigliati nelle trame della normalità è facilissimo. È un meccanismo che agisce sottopelle e che, più di una volta da qualche anno, è stato per me motivo di lamentele e di timori per il mio futuro e la mia stessa personalità, che ho avvertito come in pericolo, talvolta anche imbrutita ed instupidita. 
Non ero soddisfatta, non lo ero affatto. 
Un circolo vizioso d'abitudine e pigrizia mi aveva totalmente assuefatta alle consuetudini, ed internamente ne soffrivo, strepitando a volte anche all'esterno.
Non posso negare di aver avuto bisogno o, più che altro, di avere accolto alcuni input esterni per dare via al processo, ma non vedo dove stia la negatività in questo, negatività che mi è stata posta e problematizzata recentemente, facendo perno sulla questione del condizionamento esterno. E se mi spiego in tal senso,  risulto "giustificare terzi", non esporre mie scelte.
Dico ciò, perché il post di Cecilia mi ha fatta riflettere molto sulle tecniche comunicative che si dovrebbero utilizzare in questi casi, però io ho il vizio ed il difetto di non spiegare le mie scelte in taluni casi, e questo manda gli altri in confusione rispetto a ciò che conoscono di me. 
Parto dal presupposto che non mi si capisca e, talvolta, questo presupposto nasce proprio dalla profonda conoscenza del mio interlocutore. Se non mi sento libera di spiegare, poiché temo una determinata reazione, io non mi spiego e pongo la realtà per ciò che è, che la si accetti o meno, dando spiegazioni vaghe e fumose. Questo anche perché non accetto che si mettano limiti alla mia possibilità d'azione. Insomma: sono abbastanza impossibile da gestire quando si tratta di cose che mi riguardano da vicino e da cui può dipendere il mio futuro e la mia condotta personale. 
Se sento che qualcosa è giusta per me e l'ho scelta appositamente per sperimentarne il possibile beneficio, non sento ragioni od obiezioni di sorta, l'ho sempre fatto e ciò mi ha portato beghe e grandi soddisfazioni.
Ovviamente sarebbe un atto puramente egoistico se non avesse un riscontro sul mio comportamento con gli altri, ma io credo di essere sempre riuscita a rispettare la soglia ed il limite che si pone fra il mio ruolo di amica/confidente e l'individualità e le scelte dell'altra persona. Credo questo sia fondamentale, soprattutto per evitare di incorrere in turbe di tipo paranoico che logorano i rapporti, poiché fondate su ipotesi  reiterate a più mandate che non hanno nulla di concreto.
Ma fa nulla, in fondo è anche per causa mia se non riesco a stabilire rapporti che siano al contempo profondi e liberi. E fintanto che imparerò questa lezione, mi limito ad osservare il mondo con la stessa espressione di Dalì che guarda il pollo sulla propria spalla. "Poffarbacco, che gran delirio!" :D



sabato 29 gennaio 2011

Godsmack - Trippin'

Living a different way. You can't expect me to be the same
Separating our lives and wondering why.
Face down I walk away. Every time I think I do the right thing,
you turn your back on me.

Trippin' into a world that never seems too far away.
Too much time, too many wasted days.

How can you be this way? Now I'm alone and cold today.
I'm walking dead man's drive. Reaching out for my life.
I've been known to fuck up everything.
In this skin there's a broken man.

Trippin' into a world that never seems too far away.
Too much time, too many wasted days.
Just another vision in my world!


giovedì 27 gennaio 2011

La celata armonia

Che giornata strana e stranamente produttiva.
Fuori piove e, come spesso accade, questo clima concilia in me la voglia di fare. Sarà anche che gli argomenti che sto studiando, in maniera totalmente inaspettata, stanno suscitando la mia curiosità.
Avevo sempre considerato la psicologia come un modo "scientifico" [ed implicitamente superfluo] di definire stati di realtà psichico-emotiva intuibili anche "ad occhio nudo". 
Ed effettivamente, non posso distaccarmi totalmente da questa visione, poiché tendo sempre a sostenere che i comportamenti umani, in quanto esperibili da tutti, possono essere anche compresi ed analizzati da molti, ovvero da coloro i quali siano naturalmente portati alla comprensione, empatia e analisi  più o meno oggettiva di ciò che viene loro presentato di volta in volta da amici o conoscenti o familiari a caso. 
Leggendo alcune analisi di Freud, però, mi sono resa conto di quanto sia estremamente affascinante lo studio e la decodificazione approfondita di questi comportamenti e stati dell'essere, perché di decodificazione si tratta, in fondo. Decodificazione di processi innati ed inconsciamente noti all'individuo, che porta, però, ad una chiarezza espositiva che ne rende più comprensibili e leggibili gli stadi.
[Qui urge fare una correzione! Probabilmente ho minimizzato il problema, poiché, oltre a ciò che ho già esposto, la psicanalisi si avvale anche di conoscenze scientifiche che non sono alla portata di tutti, quindi la comprensione degli stati mentali anomali e le possibili cause di essi possono essere rintracciati ed individuati da tutti [o dai molti succitati!], ma ad esclusivo appannaggio dello scienziato o del filosofo della mente, restano l'approfondimento, la penetrazione più acuta di tali manifestazioni e la loro descrizione/cura.]

Accompagnata a queste analisi, vi è anche una parentesi importante sul caso dell'ispirazione artistico/poetica
Quest'ultima, infatti, pare riuscire ad attingere alle trame più inestricabili dell'inconscio, senza necessariemente essere provvista di nozioni psicanalitiche, le quali, ad analisi successive, possono però risultare sovrapponibili, ma non sostituibili, al processo in atto nel e del prodotto artistico.  Dico sovrapponibili e non sostituibili, perché il processo di creazione artistica [parlo per esperienza diretta] è quasi sempre frutto di stati di semi-incoscienza, anche nel momento in cui si è pienamente coscienti di ciò che si vuole rappresentare, e questo perché l'ispirazione si appella a suggestioni che possono sorgere durante il processo di creazione e non essere preventivate nel progetto iniziale. Presentandosi, quindi, in maniera più confusa e caotica.
Freud, in merito, si riserva anche di non indagare oltre, poiché la questione artistica pare molto più complessa di ciò che sembra [se si considera anche la particolare valenza che l'Arte ha assunto e mantiene  tuttora per la società umana], però si compiace del fatto che esista una corrispondenza ed una possibilità di fusione fra l'arte e la scienza. Cosa che, probabilmente, si desume e nasce dalla personale passione per l'archeologia: una scienza artistica che manterrà sempre come punto di riferimento.

Ciò che sto scoprendo, da tutto questo, è che si cela una straordinaria armonia fra le arti ed i metodi d'indagine cui l'uomo ha dato vita e di cui si serve, armonia spesso ottenebrata dalla smania di antitesi e di contrapposizione.
Ciò che Arte, Scienza e Culto ci forniscono, sono una gamma di linguaggi e chiavi di lettura differenti di uno stesso sistema.

Alexis [A.H.V.]
27.01.2011

Immagine dal web © Tutti i diritti riservati all'autore.

Potrebbe sembrare che quest'immagine abbia poco a che fare con il testo, però a me dà il senso dell'armonia delle cose e del mistero che queste stesse posseggono.

mercoledì 26 gennaio 2011

Futilità, identificazioni et similia.

Qualche giorno fa, mi è stato chiesto in quale eroina letteraria io mi identificassi.
Alla domanda, devo sinceramente ammettere di essere rimasta un po' perplessa, senza una risposta da dare, sia perché non ho ancora tutta questa vasta conoscenza letteraria e poi perché ho sempre puntato l'attenzione su altre forme d'arte, o tipi di personaggi, per indivudare un mio alter ego.
All'occhio mi balzano subito alcuni strambi esempi: Fa Mulan, personaggio Disney, e la Pallas Athene ritratta da Gustav Klimt.
Con la prima l'associazione è immediata, sembra ricalcare qualsiasi mio passo o ragionamento o anche idea di me stessa, nel senso più spensierato e scevro da eventuali e massicce pesantezze di sorta, problematica ma come "una fiaba a lieto fine" può proporre! Senza necessariamente sminuire lo spessore del personaggio, però.  Insomma, Mulan è vicina a me sul piano dell'impronta caratteriale e vitale, e lo è anche per contesto storico! :)
Riguardo l'opera di Klimt, beh, lì l'associazione si fa più complessa perchè si appella a diverse fonti. 
Prima di tutto la mitologia.
Athena è una figura mitologica, campo che da sempre mi attrae, ed è una delle più problematiche dal punto di vista psichico, a mio avviso. 
Ho sempre pensato ad un'Athena intenta a mascherare la propria femminilità con un atteggiamento ed un'apparenza maschili, quasi a vergognarsi di mostrare la propria fragilità e immersa nella volontà di far valere ciò che è e afferma in maniera oggettiva, senza sconti o pregiudizi di sorta legati al suo essere donna. È una donna a tutti gli effetti, però. Meno frivola della brillante Afrodite, assennata quanto Era, forse eccessivamente dura, caratteristica che la rende spesso poco raggiungibile. 
E poi c'è il piano dell'immaginario, poiché, più che altro, Athena rispecchia un ideale di femminilità al quale, proprio mentre scrivo, sento forse di appartenere solo in parte... è più che altro un fascino ed un'empatia quella che provo per la sua figura, cui la rappresentazione di Klimt dà pienamente la dignità che le conferisco.
Riguardo ad altri esempi, personaggi con i quali mi è capitato di identificarmi più per empatia e coinvolgimento emotivo che per sovrapposizione di personalità, sono Cassandra, protagonista di La Torcia della Breadly e Kazu, uno dei personaggi partoriti da Mishima e che ripercorre nel libro alla sua figura dedicato, Dopo il banchetto, un episodio conforme ad uno che ha interessato la mia realtà.
Ecco, lì mi è capitato di esclamare: "ma sono io!" [come per Mulan]
Poi ci sono una sfilza di personaggi maschili, come Paperino o Anacleto, sempre nel panorama cartoni animati, mentre nei libri mi lego spesso ai pensieri degli scrittori, più che alle personalità date ai personaggi singoli, e creo associazioni con questi.
Insomma, mi viene difficile trovare una corrispondenza che risulti totalmente esatta e ne salta fuori questo puzzle di immagini che ha come base, oltre alla matrice più alta e dedicata "alla virtù", una caratteristica di me di cui vado assolutamente fiera: l'autoironia! :)
Ah, e la mia infinita modestia trae ispirazione da questo rosso capelluto cui devo una marea di risate e buon umore:


ù_ù Hanamiii[c]chii!

martedì 25 gennaio 2011

...

E poi succedono queste cose per cui, ad una cosa, se ne sostituisce immediatamente un'altra di segno opposto.. ma perché questo accade? 
Il mio pensiero magico mi porta bonariamente e fanciullescamente a pensare che sia una sorta di rassicurazione "astrale" :), una ruota che gira immediatamente, un timone che sterza e dalla tempesta mi porta ad osservare il sole che batte sul cielo sereno, non molto distante da me.
Non so perché la vita mi regali queste cose, ma lo fa [o mi persuado lo faccia], e non voglio perdermi il gusto di queste confortanti coicidenze.

Whatever will be, will be.

Ai posteri l'ardua sentenza,
perché così è (se vi pare)
 ... 
forse che sì, forse che no!
Questo soltanto, e nulla più.

Combinazione di citazioni non esposte secondo le regole del Caso, ma seguendo le esigenze del caso.

Bo-bouh?

Meglio essere Genma Saotome, in certi casi.

lunedì 24 gennaio 2011

Ciò che tutto contempla

Qui e adesso, io sento di affermare che credo fortemente che ogni essere sia animato da uno spirito, un'energia che lo investe e lo rende partecipe del mondo e agente nel mondo.
Mi ritrovo ad avere dei dubbi sul definire quest'energia come anima, perché in passato, forse, ho dato con troppa semplicità e superficialità un significato a questo termine, senza riuscire ad esplorarne a dovere i meandri, senza pormi nemmeno il dubbio di cosa, in realtà, questa intendesse.
Si dà per scontato che l'anima sia il principio primo di ogni essere, ciò che gli conferisce un'identità e che nell'uomo si qualifica attraverso l'espressione netta e chiara dei moti interiori, degli interessi, dei pensieri e dell'immaginazione o inventiva, ma se si considera anima quella umana, quella dalle caratteristiche appena citate quindi, è normale crearsi dei dubbi sull'esistenza dell'anima animale. 
L'animale o il vegetale, infatti, non paiono manifestare la propria interiorità come accade di norma nell'umano, ma queste forme di vita, a mio avviso, non recano inferiore dignità di status alla nascita, piuttosto, per quel che conosciamo, danno vita ad una differenza, ovvero suppongo e sostengo che, fondamentalmente, essi non abbiano differenze rispetto all'umano sul piano della "composizione iniziale", come forme di vita, ma differiscano nell'esperire e il rapportarsi alla vita stessa.
Dato per scontato che il caso umano costituisca un caso straordinario, nel senso di fuori dell'ordinario e non necessariamente nelle accezioni di meraviglioso o terrbile, e data la paternità alla concezione e definizione di anima solo appannaggio della specie umana, gli altri esseri dovrebbero quindi essere privati di una matrice energetica ed individuale che li "muove dall'interno"? Secondo me no.
Il fatto stesso che siano esseri viventi, implica, a mio avviso, che essi siano dotati di una sorta di spirito, un soffio vitale che li rende unici e distinti l'uno dall'altro esattamente come accade per l'uomo e non semplici automi che rispondono a stimoli elettrico-neuronali e nervosi.
Ciò che mi viene da supporre, di conseguenza, è che esista nel caso umano una sorta di ulteriore evoluzione di questo spirito primigenio, che identifichiamo con il termine anima e che si concretizza attraverso le svariate forme espressive tipicamente umane.
Effettivamente, si potrebbe creare una "scala evolutiva" che contempli il sempre maggiore distacco dai funzionamenti e dalle leggi prime che regolano gli organismi, ma non nel senso di una maggiore o minore importanza, ma nel senso di una differenza che non assegni medaglie di merito, ma che apra le porte della comprensione e della conoscenza di ciò che ci circonda, del mistero degli esseri e della nostra interiorità.
E sulla base di questa scala, anche i minerali o altri elementi naturali potrebbero essere presi in considerazione come gli elementi più legati ai ritmi biochimici, fisici, elettrici, etc.
Forse, il mistero evolutivo, oltre ad un fattore diacronico, è anche un fattore sincronico che possiamo osservare nella molteplicità degli esseri esistenti e delle forme naturali considerate inanimate.

RETTIFICA:
Ho pensato che più che di scala evolutiva, sarebbe più opportuno parlare di gamma evolutiva, il che contemplerebbe la molteplicità degli esseri senza quell'implicazione di tipo qualitativo che altrimenti lascia intendere il termine scala.

Alexis [A.H.V.]
24.01.2011

domenica 23 gennaio 2011

Ianus Bifrons - Human Sickness

Giano Bifronte, uno degli epiteti del dio romano del Tutto, della Creazione, dio degli Dei. Un po' come il greco Zeus, ma con una caratteristica in più: la presenza di due volti.
Ho personalmente associato questa caratteristica ad una tendenza tipica dell'uomo, che non è lo sdoppiamento di personalità o il semplice "volta faccia", bensì il dualismo con il quale percepiamo ed interpretiamo l'esistenza, qui rappresentata simbolicamente dallo stato della malattia.
La malattia umana non è soltanto un'esperienza fisica, ma anche psichica e mentale, spirituale direbbero alcuni, ma il continuo suiddividere i due aspetti conduce l'uomo alla folle e disperata ricerca di definizioni contrapposte, piuttosto che in "armonia di contrasti" [cit. Tiziano Terzani]. Da qui nasce l'idea del dualismo che affligge l'individuo.

Alexis [A.H.V.]
Alexis, "Ianus Bifrons - Human Sickness", digital art, 2011
23.01.2011

sabato 22 gennaio 2011

«Siamo sempre noi a decidere chi siamo»


Oppure chi vorremmo essere o diventare. E lo stavo pensando proprio ieri, ignara che la sera stessa avrei visto questo interessantissimo film, Waking Life [link info].
Il film si presenta come una successione di illuminazioni e teorie sull'essere umano [inteso come creatura sociale e spirituale] che non mirano a creare una trama coerente o con un fine prestabilito, ma rimangono lì, delle epifanie che, mostrandosi, regalano i più disparati spunti di rfilessione.
Tornando alla strampalata coincidenza, effettivamente, negli ultimi tempi, mi è capitato spesso di pormi  il dubbio sulla nostra intima natura individuale, e sottolineo individuale perché ciò che sto cercando di comprendere, non è quella natura comune a tutti gli uomini, ma il percorso e lo sviluppo di un essere a sé stante, che fa sì parte della comunità umana tutta, ma rimane unico in se stesso.
All'interno del film vengono fatti riferimenti al libero arbitrio, alle leggi fisiche, chimiche e biologiche che regolano il nostro organismo e che ne determinano lo sviluppo, ma come afferma una delle tante voci presenti: "Ogni sette anni, le nostre cellule si rigenerano completamente, quindi più volte nel corso della vita, diventiamo esseri totalmente diversi, eppure, in fondo, rimaniamo sempre noi stessi."
Cosa è che determina il "noi stessi"? E come è possibile percepire questo "noi stessi" come immutabile nel corso dell'esistenza? Noi siamo già dal principio o ci costruiamo lungo il cammino? E se le due ipotesi non si escludessero a vicenda creando un connubio fra essenza prima e mutazione, evoluzione di quest'ultima?
C'è chi crede che l'essere umano si sveli durante il proprio percorso vitale, ovvero scopra quelle che sono alcune proprie caratteristiche soltanto a seguito di esperienze compiute, ma è anche vero che, se così fosse, tali caratteristiche, una volta venute a galla, risulterebbero impossibili da trasformare, in quanto fondanti e fondamentali del e per l'individuo. Ma le esperienze stesse insegnano come anche le peculiarità caratteriali possono essere modificate in base alle esigenze e alle circostanze.
Quindi, e qui ritorno ad un'ipotesi fatta tempo addietro, suppongo che l'essere umano debba paragonarsi all'acqua e debba aspirare a divenire come essa.
L'acqua non muta la propria essenza, ma modifica e adatta le proprie caratteristiche in relazione al contesto in cui è inserita. Cambia temperatura, aumenta d'intensità e velocità nello scorrere, si addolcisce o rende salata, ma chi è che può negare che di fronte ad un fiume, un lago o all'oceano, non ci si trovi d'innanzi ad acqua?
Sempre e comunque acqua.
Chi è che può negare che a  sei anni, a quindici, a trenta e a sessanta non sia comunque rimasto di fronte a se stesso?  
Nessuno.
Anche i cambiamenti radicali comportano e contemplano un'unità di fondo. Ma il cruccio è sempre lì e non cenna a svanire: quale è questa intima essenza che ci rende unici e molteplici allo stesso tempo [il noi stessi]?
Vogliamo chiamarla "anima"? Ma anima, forse, è soltanto un nome dato a qualcosa di ignoto e questa definizione non risolve di certo il quesito.
E questo è un problema che, in realtà, è legato al destino proprio di ogni individuo [ma sostituiamo il termine destino con quello di percorso]. 
Il mistero del "noi stessi" risiede in ognuno di questi "noi stessi", preso singolarmente. Il percorso umano non è uguale per tutti gli esseri ed il passaggio storico dalla concezione di collettività [sociale o meno] ad individuo, è profondo segno di questa consapevolezza. 
Pluralismo delle individualità che forma un unico puzzle, il quale non potrebbe sussistere senza la diversità degli incastri dei propri tasselli.

[A.H.V.] Alexis
22.01.2011

giovedì 20 gennaio 2011

Esordio su Geometrie Fluide!

Vi presento, con immenso piacere, il mio primo articolo pubblicato sul blog del sito Geometrie Fluide:


Sperando di non aver sbagliato nulla nel titolo, che si presenta come ironico e non come rappresentante o testimone di una particolare scala di valore artistico, l'articolo introduce [o vorrebbe farlo!] al "modo di fare arte" dei popoli slavi, che si presenta ben caratterizzato sotto diversi punti di vista.
Spero risulti godibile alla lettura, aperta, come al solito, a qualsiasi commento! :)
E speriamo che questa nuova avventura su un sito completamente dedicato all'Arte, mi porti fortuna per il futuro!

martedì 18 gennaio 2011

Tool - Forty Six & 2


My shadow's
Shedding skin and I've been picking scabs again.
I'm down digging through my old muscles looking for a clue.
I've been crawling on my belly clearing out what could've been.
I've been wallowing in my own confused and insecure delusions for a piece to cross me over or a word to guide me in.
I wanna feel the changes coming down.
I wanna know what I've been hiding in my shadow.
Change is coming through my shadow.
My shadow's shedding skin I've been picking my scabs again.
I've been crawling on my belly clearing out what could've been I've been wallowing in my own chaotic and insecure delusions. 
I wanna feel the change consume me, feel the outside turning in.
I wanna feel the metamorphosis and cleansing I've endured within my shadow.
Change is coming. Now is my time.
Listen to my muscle memory.
Contemplate what I've been clinging to.
Forty-six and two ahead of me.

[ I choose to live and to grow, take and give and to move, learn and love and to cry, kill and die and to be paranoid and to lie, hate and fear and to do what it takes to move through. I choose to live and to lie, kill and give and to die, learn and love and to do what it takes to step through. ]

See my shadow changing, stretching up and over me soften this old armor. hoping I can clear the way by stepping through my shadow, coming out the other side. Step into the shadow. Forty six and two are just ahead of me.

The meaning of:
The title references an idea first conceived by Drunvalo Melchizedek concerning the possibility of reaching a state of evolution at which the body would have two more than the normal 46 total chromosomes and leave a currently disharmonious state.[3][4] The premise is that humans would deviate from the current state of human DNA which contains 44 autosomes and 2 sex chromosomes. The next step of evolution would likely result in human DNA being reorganized into 46 and 2 chromosomes, according to Melchizedek.
Furthermore, the song references a wish to experience change through the "shadow"; an idea which represents the parts of one's personality that one hates and fears, which also exists as a recurring theme in the work of Carl Jung.[5]

[Fonte: Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Forty_Six_%26_2]


A quanto ho capito si tratta di studi che hanno a fare con la New Age, fonte da cui i Tool sembrano attingere a piene mani abbastanza spesso.
Ma tralasciando questo significato più specifico, questo brano lo adoro perché tratta, comunque, di una sperimentazione, un cambiamento che avvolge l'essere e di cui quest'ultimo necessita. 
Per me è un inno alla vita nella sua pienezza, nel suo insieme di fatti, eventi, emozioni, scelte, sfide, un invito dionisiaco all'esistenza e alla scoperta della propria essenza.

domenica 16 gennaio 2011

Care vecchie abitudini della BlogSfera.

I. A 13 anni cosa volevi fare? 
L'artista. Ed ero più convinta di quanto non lo sia stata negli ultimi anni. Beata gioventù.

II. Nel migliore dei mondi possibili dovrebbe essere abolita la parola...?
Sopravvivenza.

III. Di cosa hai paura?
Di me stessa, spesso e degli altri a volte.

IV. All'inferno ti obbligano a leggere sempre un libro: 
Il vecchio e il mare di Hemingway. La tortura peggiore, maledetto Santiago!

V. Hai il potere assoluto per un giorno: la prima cosa che fai?
Creo sfere di Luce, mi piace l'idea che dalle mie mani nasca qualcosa. Nulla di così magnanimo, insomma!

VI. Una cosa che non hai mai capito della gente?
Il perché la gente non capisca me.

VII. Come ti immagini il paradiso?
Mi basta un'oasi di tranquillità.

VIII. La tua casa brucia: cosa salvi?
Genitori e gatti. Il resto si ricreerà, anche se mi dispererò per averlo perso.

IX. Il vero lusso è?
Respirare senza sentirsi altro alito gravare sulla nuca.

X. Ti rimangono 12 ore di vita: cosa fai?
Passeggio per la città recandomi nei luoghi che di essa ho amato e che mi hanno accolta e rifletto.

XI. Un posto dove non sei mai stato e vorresti andare?
Il mondo.

XII. Una cosa che volevi e non hai avuto?
Una stanza da letto in cui non esistesse uno sgabuzzino!

XIII. Una domanda a piacere da lasciare nei commenti... 
 ...WTF?

XIV. La cosa a cui tieni di più?
La mia libertà d'espressione.

XV. Il tuo maggior successo?
Deve ancora venire.

XVI. Se ti dico Italia qual è la prima cosa che ti viene in mente?
Un tricolore che per me ha poco senso, un concetto politicamente astratto e culturalmente pregno pioché mosaico di identità differenti.

XVII. Tre cose che ami?
Arte, musica... e oggi: ballare.

XVIII. Tre cose che odi? 
Le ipocrite formalità, la mia pigrizia, l'ostentazione che non contenga in sé una matrice di ironia.

sabato 15 gennaio 2011

Digital Experience

Questo il nome dato alla galleria di immagini e lavori in digitale, che ho creato su DeviantArt e di cui intendo mostrarvi qualcosa aprendomi a qualsiasi giudizio o conisglio in merito! Buona visione! :)
[ qui il link della galleria per vedere i lavori ingranditi: Galleria  ]


 


giovedì 13 gennaio 2011

Mea Culpa

Talvolta, per ritrovare il piacere di fare qualcosa, basta semplicemente ricercare dentro di sé le motivazioni iniziali o le curiosità innate che ci hanno condotto ad essa e dimenticarsi, totalmente, della finalità cui è promessa e designata.

Quello che sto tentando di fare, insomma, per rendere meno tragica la convivenza con la mia facoltà. 
Però, ad onor del vero, qualche stimolo lo sto trovando! Insieme ad un buon compromesso con la mia volontà.

mercoledì 12 gennaio 2011

Brevi considerazioni: Magia e Scienza.

Termini per secoli contrapposti l'uno all'altro, senza un fondamento reale e solido. 
Termini che designano due realtà parallele, anzi, mi correggo: designano un'unica realtà, la stessa e medesima realtà.
La magia, le pratiche mediche ancestrali, le conoscenze astrologiche ed astronomiche e la pratica delle scienze attraverso rituali religiosi fanno parte della natura più intima dell'uomo e furono le prime [ancora insuperate in qualche caso] espressione delle sue immense possibilità intellettive e psicologiche.
La scienza, la chimica, la fisica, il sistema numerico matematico, sono esperienze che accompagnano il progredire dell'ingegno, della ricerca e della decodificazione e creazione di un linguaggio di interpretazione del mondo e della Natura puramente umani e comuni soltanto ai membri di queste specie.
Attraverso la matematica abbiamo dato e tentiamo ancora di dare un'identità alle cose, proviamo a conoscerle con l'ausilio di un sistema creato ad hoc o, forse, estrapolato e suggeritoci dalla Natura stessa, perché insito in essa sin dalle origini.
Attraverso ciò che viene definito arte magica, invece, l'uomo sembra non avere necessità alcuna di un linguaggio altro rispetto a quello naturale, lo dimostrano tuttora gli indigeni che "senza chimica né scienza occidentalmente intesa", conoscono le proprietà delle piante per intuizione ed esperienza e fondano la propria medicina proprio su questo tipo di cono-sc(i)enza.
In fondo, anche le espressioni più tipiche della medicina orientale, come pranoterapia o agopuntura, non fanno altro che sfruttare conoscenze di tipo scientifico e di tipo spirituale, applicandole nella pratica  medica per motivi inerenti sia all'uno che all'altro aspetto della malattia umana[Giano bifronte].
Pertanto, ritengo sia quasi una secolare forzatura il distinguere Scienza e "Magia" tanto da creare un'antinomìa fra termini, incrinatura probabilmente frutto e conseguenza della diffusione di dottrine le quali, erroneamente, hanno demonizzato, senza distinzione alcuna, pratiche considerate ed etichettate come pagane.

Alexis
12.01.2011

martedì 11 gennaio 2011

Ho capito come cambia il vento.


«Ho pensato al suono del suo nome, a come cambia in base alle persone. Ho pensato a tutto in un momento, ho capito come cambia il vento.»

Di bocca in bocca il senso delle cose si modifica, la realtà si sgretola in innumerevoli frammenti, tanti quante sono le sensibilità degli individui... ed è meraviglioso godere della consapevolezza di questa diversità e molteplicità di punti di vista... Non mi aspettare, mi sono perso(a).

Buondì

Buona Giornata a tutti.


Da quando ho cambiato l'aspetto di questo blog, lo sento inevitabilmente più mio e mi è tornata la voglia di condividere anche le piccole cose che mi emozionano... come questo brano della grandiosissima Loreena McKennitt.

domenica 9 gennaio 2011

In connessione con l'ambiente

L'ambiente e l'atmosfera che negli anni ho tentato di ricreare nella mia stanza, finalmente, non mi sono più ostili.
Qualche anno fa mi era impossibile meditare sdraiata sul pavimento o semplicemente seduta, sentivo l'aria gravarmi sul petto e gli spettri di mille turbamenti soffocare il libero viaggio della mente.
Oggi, invece, è accaduta una cosa diversa, seppur di breve durata.
Il corpo mi ha guidata verso alcune asana volte al raccoglimento ed alla conclusione di una di esse il passaggio alla meditazione è stato automatico.
Per alcuni brevissimi istanti ho sentito come se il mio corpo appartenesse già ad una dimensione differente, essenza di luce e involucro di qualcosa di trasparente, ma perfettamente percepibile, come acqua addensata in una consistenza e volume ben precisi.
La mia testa ha prodotto immagini che spingevano il corpo a compiere delle azioni che però ho veicolato mentalmente, senza alcuna movenza degli arti e ho sentito parole che poi ho dovuto pronunciare,  poiché, irrefrenabili, forzavano le pareti della bocca e delle labbra, schiudendole.
Per la prima volta ho compiuto un viaggio fra la coscienza e l'incoscienza, un viaggio completo nella brevità della sua durata.
Chissà se sia stato soltanto un misto di suggestione e desiderio, ma ne dubito.
Qualcosa di profondamente positivo mi ha avvolta e mi sono sentita al sicuro, qui, in questa stanza che mi aveva inibita dal praticare la meditazione a terra.

E, a pensarci bene, è la seconda volta che questa stanza mi appare come un luogo sicuro. E la prima è accaduta circa una settimana fa in condizioni più "profane", ma non per questo meno cariche di senso.
Creare un dialogo con l'ambiente che ci circonda e ci ospita è essenziale e fondamentale per assicurarsi una pacifica permanenza, e c'è chi, di questo, ha fatto un vero e proprio studio/pratica spiritual-filosofica, il Feng Shui.
Quando mi deciderò a riprendere e finire il libro sull'argomento appena citato, però, potrò parlarne con maggiore cognizione di causa, per il momento mi limito ad osservare il riscontro pratico di speculazioni mentali mie e non.

sabato 8 gennaio 2011

New Look

Cambiata faccia al blog! L'aria di rinnovamento investe anche questo luogo! *_*
E, tanto per gradire, vi lascio uno dei miei recenti lavori grafici.

Alexis, Chinese Lantern, digital art, 2011
Devo ammettere che l'utilizzo della tavoletta grafica mi aggrada parecchio e mi stupisco di come, in passato, non ne avevo considerato seriamente l'acquisto. Per la verità, però, un motivo c'era ed era quello dello sciocco pregiudizio nei confronti del digitale, il non voler considerare il prodotto grafico come un pari del prodotto hand-made, poiché "semplificato" a livello tecnico e di realizzazione [nonostante io mi divertissi a creare template e accessori grafici per blogs!].
Invece scopro mondi nuovi, li sperimento e la mente espande i propri confini prendendosi gioco della propria ottusa ostinazione. 
In fondo io amo contraddirmi per poi ricredermi, perché facendolo arricchisco il sapore della nuova scoperta e mi proietto e protendo sempre verso la novità.

venerdì 7 gennaio 2011

Di quell'amore accademico per l'Arte

In quanti scoprono per caso, durante il proprio percorso, un amore accademico per la Storia dell'Arte?
Quell'amore astratto, nozionistico, tecnico e preciso, storico, appunto, che arricchisce le bocche di termini, ma spesso inaridisce il cuore e l'Arte stessa di contenuti.
E me lo chiedo perché, purtroppo, noto che questo errore sono in molti a farlo.
Questo atteggiamento, questa tensione accademica che inonda ogni frangente del sapere umanistico che è, nelle sue forme più alte, frutto del puro genio umano.
Perché dissacrare ciò che è nato per essere divino, maestoso? Perché insozzare con rocamboleschi giochi di parole, qualcosa di fondamentalmente libero, almeno nelle sue sfumature più contemporanee?
Potreste dirmi che è impossibile, come in tutti i campi del sapere[introducendo, stavolta, anche quello scientifico], essere privi di un linguaggio tecnico e di una determinata precisione nell'indicazione di riferimenti storico-biografici e di un'oculata e attenta ricerca di queste ultime, ed io vi risponderei che ne sono ben consapevole e che è assolutamente indispensabile per la comprensione di un'opera o di un fenomeno, possedere delle solide basi cognitive. Ma il problema risiede proprio nel rendere le basi l'unico approccio possibile ed esistente alla materia.
Prima di tutto vi è un problema di fondo: la sensibilità artistica non si crea a tavolino.
Credo poco negli improvvisati critici o storici dell'arte, poiché considero l'Arte qualcosa di talmente sacro  che, a mio parere, l'amore per essa o si ha sin dalla culla oppure sarà solo e sempre un fuoco di paglia alimentato a gas.
Ed è proprio il secondo caso che io denuncio in modo accorato e disperato, perché sarà in quella primordiale mancanza del "principio primo" che l'accademismo si arroccherà e costruirà la propria fortezza, che si creeranno infinite orde di terribili critici che non vibrano nemmeno per un istante del fuoco della passione autentica. Delle statue di marmo, insomma, degli oracoli con registratore incorporato che non subiranno mai il fremito dell'estasi e dell'illuminazione, ma che si limiteranno a trasmettere informazioni criptiche a chi si troverà lì per caso a sentirli, spesso dimenticandosi dell'oggetto-soggetto stesso del proprio dire, in favore dell'autocompiacimento di questo stesso, il "dire" appunto, il linguaggio.
Ma può mai, l'Arte, essere ridotta a questo?
Può mai divenire veicolo di elogio al mezzo creato per svelarne le magie?
È un po' quello che accade ai testi sacri delle religioni, se ci si pensa su un attimo.
Si pone più attenzione al testo, al tessuto, alla trama che le parole umane costruiscono, che al divino di cui narrano o pretendono di narrare.
La divintà cosa è, ormai? È l'omelia del sacerdote della domenica [da intendersi anche come espressione derisoria riferita al sacerdote stesso], è il rispetto dei sacramenti, è il salmo, è la preghiera, è la buona azione giornaliera, è un accessorio estetico-formale-verbale, quando, in realtà, non è nulla di tutto questo o non dovrebbe esserlo.
La divinità è ed è in se stessa. Ammesso anche che essa si trovi nell'umano, ciò non può compromettere la sua essenza in quanto tale e rinchiuderla in convenzioni che ne limitano la conoscenza nel tentativo di dischiuderla, è ucciderla.
E lo stesso vale per l'Arte.
Se dell'Arte non si respira più la magia, il soffio, l'anima, se non si resta più innocentemente stupiti di fronte a qualcosa che ci appare sublime o meraviglioso e si tenta, invece, di decodificare immediatamente e con esattezza tutto ciò che passa sotto lo scanner della retina, senza prendersi il tempo di far vivere dentro il proprio essere le emozioni scaturite dal semplice godimento della vista, allora dell'Arte non rimarrà  altro che un fantoccio. Un manichino, una tela vuota e priva di qualsiasi senso, un oggetto di mero ed arido studio, non di ammirazione e sensazionalità.
L'Arte non merita di essere ridotta a questo, strumento di vanto di chi si presume esperto. L'Arte necessita di essere colta nella sua essenza prima, nelle sensazioni istintive ed intuitive che essa emana.
Quanto sono vuote quelle parole che, sfoggiando significati arditi e minuzie intellettuali, denundano figure, colori e forme della propria sfolgorante bellezza, rubando, da queste, vesti che non gli sarebbe concesso indossare.

Alexis
07.01.2011

martedì 4 gennaio 2011

Il fluire del cambiamento

«A dream. It is something to do for yourself, not for others.»*
So, what am I doing for Myself?

Per far sì che un sogno si realizzi nella realtà effettiva, non bisogna necessariamente aspettare che piovano dall'alto le occasioni.
Esso può essere costruito nel corso della propria esistenza, compiendo le giuste scelte o, in caso di errore, rimediare quanto prima allo stesso.
Spesso mi chiedo cosa io stia facendo per me stessa e per il mio sogno, per il mio amore per l'Arte.
Non sto facendo niente di concreto, in realtà.
Mi limito a tenerla una passione personale mentre affogo in un contesto universitario che mi soddisfa poco, ma che devo portare a termine per volontà autoimposta ed impegno preso. La chiamerei anche responsabilità se solo riuscissi a fare tutto come dovrebbe essere fatto, piuttosto che languire in uno stato di semi-nullafacenza e quasi totale mancanza di costanza e voglia.
Eppure, ultimamente, una fiamma s'è accesa.
Ho cominciato a considerare il futuro come dipendente unicamente dalle mie capacità ed azioni, mi sono sentita stufa del condizionamento morale ed umorale che il luogo in cui studio esercita su di me così come su altri dei miei colleghi e, soprattutto, ho cominciato a vivere con insofferenza lo stato di totale immobilità cui mi costringe e mi costringo con il mio tergiversare.
Purtroppo il contesto universitario spesso non riesce minimamente a motivare lo studente, si va avanti per inerzia ed autoinduzione di volontà fallace e fittizia che al primo ostacolo decade miseramente svelandosi nella sua natura più profonda, ma dare rilievo a questo dato, comunque presente e pressante, significherebbe anche liberarsi dalla responsabilità personale.
Da qualche giorno sto cercando di rivalutare e ridisegnare il mio percorso focalizzandomi principalmente sulle mie aspirazioni e su ciò che dovrei fare per renderle realtà e ne ho riscoperto un piacere che, forse, non avevo mai provato.
Immaginarmi realizzata ed in piena autonomia di mezzi mi dona una senso di libertà che adesso appare lontano da esperire, ma che posso avvicinare sempre di più.
So che, ovviamente, le difficoltà saranno tante e soprattutto che dovrò scontrarmi con meccanismi che vanno oltre le mie possibilità di contrasto, però avere un obiettivo, se motivato da una passione forte e genuina alla base, è già uno spiraglio di successo, un vedere la luce alla fine del tunnel.
Cercherò di essere e di fare quello che per pigrizia non sono mai stata e non ho mai fatto. Voglio provare a modificarmi, eliminare le sedentarie abitudini in virtù di qualcosa di più grande e che possa maggiormente gratificarmi sul piano personale.
Sto già sperimentando alcuni cambiamenti nella quotidianità e il riscoprirsi in gesti apparentemente insignificanti, apre milioni di nuove prospettive sulle proprie potenzialità e porta con sé la voglia di continuare e spingersi sempre più in fondo. È come entrare in un moto perpetuo alimentato da correnti e fluidi sempre differenti e sentire tutto questo dentro me, infonde nuova linfa al mio essere.
Non devo assolutamente sprecare quest'occasione di rinnovamento.
Le svolte rispondono al principio dell'attimo da cogliere e questo attimo sta chiedendo a me di essere colto o, forse, sono stata io stessa a creare le condizioni ideali per la sua gestazione.

Alexis
04.01.2011

(*): cit. tratta dal manga Berserk di K.Mioura.