Probabilmente, se la mia natura non fosse essenzialmente critica, adesso non starei a pensare a tutte quelle cose a cui sto pensando.
È bastato un discorso, un solo discorso a gettare via il drappo che custodiva delle idee lasciate in stand by per troppo tempo, dei giudizi e delle opinioni da riprendere, rivedere, ricostruire, ma che so già che non arriveranno mai a toccare un punto chiamato Fine.
A me manca ciò che è virtù base degli esseri spirituali, ovvero la Fede.
Intuisco e sento che vi è qualcosa oltre l'umano e che probabilmente fa parte dell'umano stesso, ma lo si classifica usualmente come divino. Gli diamo un altro nome ed un'altra veste perché ancora non siamo capaci, forse, di concepirlo come parte integrante del nostro essere e abbiamo necessità di proiettarlo al di fuori ed al di sopra di noi per comprenderlo. Forse è soltanto un puro gioco dialettico entro il quale ci arrovelliamo da secoli.
Ed io, in questo gioco, che parte sto prendendo?
Mi sono affidata agli Dèi, perché sentivo la loro presenza accanto a me, e ho basato il mio rapporto con loro su fondamenta assolutamente umane, su un sentimento di fiducia, non di fede, su un rapporto dialettico, non di asservimento incontrastato e se mi si chiedesse di abbandonarmi totalmente alla loro volontà probabilmente non lo farei, perché umanamente desidererei avere sempre il dominio e la piena coscienza del mio percorso, un cogliere i segni che mi vengono posti innanzi e manovrarli ed interpretarli a modo mio.
Ho creato un qualcosa che fosse a mia immagine e somiglianza, e qui, allora, bisognerebbe discutere sull'idea di religione e di credo: esiste necessariamente un assolutismo religioso/spirituale, oppure ognuno è in grado di vivere la religiosità/spiritualità a modo proprio?
Io sono sempre stata una sostenitrice del secondo pensiero, essenzialmente perché malsopporto le imposizioni esterne e preferisco andare da me alla ricerca della verità, di una verità che sia mia e che mi venga rivelata nel corso dell'esistenza, una verità che probabilmente mi illudo di trovare, ma che in realtà sto creando da sola. E potrei, in alternativa, abbandonarmi a cose dette e sperimentate da altri e farle mie? No, per natura non credo di poterlo fare o di poterlo accettare.
Cerco la rivelazione e la ricerco nella mia vita e nella mia esperienza. Citerei Siddharta ed il suo viaggio attraverso la vita che lo ha condotto all'Illuminazione: in fondo non cercava anche lui una forma di Verità? E non esistevano già altre forme religiose cui appellarsi? Eppure è divenuto capostipite, profeta e portatore di un messaggio che oggi è divenuto religione e credo di molti, ma tutto è partito dalla ricerca di un uomo, un semplice uomo che non è stato investito da una qualche parentela divina e che aveva fatto esperienza delle più grandi ricchezze e lussi che l'umanità conosce, un uomo che è stato risvegliato da un sentore [un segno] e ha cominciato la sua ricerca fino ad arrivare alla meta.
Io mi ispiro al viaggio di Siddharta e cerco la mia via, per quanto impura possa essere al momento, per quanto contraddittoria e contorta, intricata e piena di incongruenze, la sto cercando.
Il mio errore è stato quello di bloccarla, di perderla di vista e accantonarla credendo di aver trovato una soluzione che io stessa ho spesso definito non definitiva. Mi sono adagiata su una verità transitoria e adesso è tempo di ricominciare a capire, di ricominciare a porsi delle domande.
Per questo pratico Yoga. Per conoscermi, per comprendermi, per sentirmi e per capire.
E gli Dèi, forse, sono le suggestioni che mi parlano, sono i segni che colgo, sono le ispirazioni di cui e per cui vivo, sono le proiezioni del mio essere: Athena la mia Essenza, Apollo la mia Arte, Ade il mio essere introspettivo e legato al mondo dell'Aldilà.
La via di Siddharta è una via umana, è un percorso spirituale che prende in considerazione l'essere umano, non prevede alcuna divinità, non si pone il problema della fede, si pone il problema dell'esperienza e della comprensione, della contemplazione di ciò che esiste e del ricercare e sentire, percepire il mondo circostante. Forse credere in una o più divinità significherebbe cadere vittima di una ancestrale forma di superstizione... ma ripeto e chiudo con un interrogativo a me stessa: sarò mai capace di abbracciare in toto una fede/credo esistente senza sentire la necessità di modificarla a mio piacimento?